Ironman: sei sicuro di essere veramente pronto?

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L’ironman: già il nome, da solo, fa mitologia.

Nel triathlon è indubbiamente la gara più famosa, la più ricca di storia, la più evocativa e anche la più lunga.

Fatti due conti sono: 3,8 km di nuoto, 180 km in bicicletta e 42,195 km di corsa a piedi. Tutto in un solo giorno, tutto dopo un solo sparo d’inizio.

Per fare un minimo di storia, queste distanze derivano dall’idea dell’unione, nel 1977, di tre gare epiche: la Waikiki Roughwater Swim di 3,8 km (http://www.waikikiroughwaterswim.com ) , la Hawaii Oahu Island Bike Ride di 112 miglia e la Honolulu Marathon, con i suoi 42,195 km (http://www.honolulumarathon.org).

Ed è così, che un po’ come capita per tutte le ‘terre promesse’, si vagheggia quel traguardo fin dai primi passi che si compiono nel ‘favoloso mondo del triathlon’. La medaglia di “finisher” è un valore al merito; una di quelle linee virtuali di demarcazione per la legittimazione a stare, in qualche modo, nel mondo dei grandi. Succede un po’ come per il primo tatuaggio da ragazzo o per profilattico nel portafogli maschile a 15 anni; non sei affatto pronto, ma ce l’hai e tanto ti basta.

Il processo che si innesca è come quello del mito-maratona per un runner. Vuoi l’impresa a tutti i costi. Sei all’inizio, ma agogni già a fare il passo più lungo della gamba.

Il problema vero sta nel fatto di pensare di poter affrontare una gara così lunga ed impegnativa, senza neppure avere l’idea di che cosa significhi e che cosa comporti. Se parliamo di mantenimento dell’integrità fisica, un IM senza preparazione adeguata, è un ‘carico da 90’ sulle spalle di un bambino. Affrontare una gara così importante senza un adeguato allenamento può essere molto pericoloso e certamente estremamente gravoso per tendini, muscoli ed articolazioni.

In queste gare il concetto che ‘la medaglia non faccia il campione’ è quanto mai vero e pertinente. Chiudere un Ironman in 16 ore o più (e ce ne sono tanti!) significa aver nuotato ad un ritmo pari a quello di un bagnetto a rana in mare d’estate, aver pedalato come si fosse a spasso lungo il fiume con la famiglia e aver camminato per tutti i 42 km della maratona. Questo è essere un Ironman Finisher? Questo è il valore in campo? Questa è in qualche modo una vittoria? È quella che cerchiamo?

Non si tratta però di una questione etica. Ciascuno dovrebbe guardarsi bene dall’assumere il ruolo del censore o dal voler imporre univocamente una propria personale visione delle cose.

Siamo tutti liberi di scegliere come farci del male. Ed è proprio questo, però, il punto che da oggettività alla faccenda!

Concludere un Ironman senza allenamento adeguato, significa esporsi ad un elevatissimo rischio di infortunio e obbligare il nostro corpo ad uno stress fisiologico gratuito; soprattutto quando tagliare il traguardo, anche sui gomiti, diventa un imprescindibile imperativo morale, per dimostrare che in fondo ‘siamo nati per soffrire’ e sappiamo farlo senza versare neppure una lacrima.

È proprio ‘sull’imperativo morale’ che scatta poi la questione psicologica. La maggior parte degli Ironman Finisher sopra alle 13 ore, è costituita da sportivi di seconda generazione, ossia da quei soggetti che hanno scoperto il fascino dell’endurance dopo i trent’anni e se ne sono innamorati. E’ molto difficile che questo tipo di profili possa ambire ad entrare in una top ten mondiale sulle lunghe distanze del triathlon. Piuttosto,  l’orizzonte cui guardare potrebbe e dovrebbe essere, quello di utilizzare lo sport come un mezzo per stare bene fisicamente, per perseguire obiettivi di salute e per divertirsi. Che l’Ironman per un soggetto non allenato sia prevalentemente sofferenza, dovrebbe essere una valutazione tutto sommato condivisibile. È quindi ovvio che un obiettivo del genere non sia né benessere, né salute e tantomeno divertimento. Perché quindi si sente il bisogno dell’impresa? Quali sono le conferme che cerchiamo nell’ambire a questi traguardi?

Forse qualche domanda in più varrebbe la pena farsela prima di investire 400 euro e rotti nella prossima iscrizione e costringere il nostro corpo ad accondiscendere alle nostre sovrastimate aspettative.

Già, forse varrebbe la pena farsele tutte queste domande e forse no. Come in mille occasioni della vita. Ancora una volta la giusta misura sta nel mezzo, come nelle migliori tradizioni. Che dire, la ricerca dell’emozione dell’impresa è una ricerca più che mai lecita.

Emozionarsi è uno dei sensi fondanti della vita.

Ma allora perché non farlo con coscienza, rispettando il nostro corpo e rendendogli onore al merito di supportarci e sopportarci in tutte le più bizzarre idee che ci saltano in testa ogni giorno? Se è l’impresa quella che vogliamo, rispettiamone il valore affrontandola seriamente.

Con una preparazione adeguata, nell’Ironman soffrirete comunque, da lì non si scappa; però per lo meno il vostro corpo sarà un po’ meno in balìa della tormenta …. ma cosa stiamo dicendo? Nella tormenta alla fine di una gara così lunga, il corpo ci finirà lo stesso. Ok, non ci sono argomentazioni razionali logiche; è solo sempre la stessa vecchia storia del fare meno a pugni con la coscienza.

A dare voce a tutti questi conflitti d’anima e alle forti emozioni che ne seguono, è bravissimo Luca Borreca, che da questa pagina di Triathlontime http://www.triathlontime.com/luca-you-are-an-ironman-racconto-verso-la-meta-di-finisher-allironman-wales  racconta a suo modo l’avventura vissuta per essere finisher all’Ironman Wales.

 “Voglio sentirla quella frase, rallento un pò, lo speaker è distratto, vorrei chiamarlo ma finalmente si accorge di me, butta uno sguardo al mio pettorale e pronuncia le 5 parole più desiderate nell’ultimo mio anno di vita:“LUCA, YOU ARE AN IRONMAN!”.

7 thoughts on “Ironman: sei sicuro di essere veramente pronto?

  1. Fare l’IM senza adeguata preparazione è pericoloso. Farlo facendosi seguire da uno dei tanti sedicenti “allenatori” è ancora più pericoloso. Parlo per esperienza personale (rottura del bacino da stress da corsa per carichi di allenamento assurdi anche in fase di scarico)! Il problema è che non c’è nessun tpo di controllo della professinalità di istruttori/preparatori atletici.

  2. Esperienza.. partire dallo sprint e arrivare negli anni all’IM…
    Io ho fatto il mio primo IM quest’anno a nizza senza nessun allenatore e solo con la mia esperienza passata….. ed e’ andato tutto bene…
    Esperienza, dedizione, impegno e riposo… sono gli ingredienti che non possono mancare…

    • Ciao, mi chiamo Luigi Prencipe Manfredonia. Ho fatto diverse esperienze nel campo triathlon. Mi sono iscritto L IRONMAN di Nizza, ho bisogno di qualche tabella di allenamento. Grazie

  3. Io lo fatto senza un minimo di allenamento andando pianissimo sono arrivato fresco come una rosa e cio la medaglia e tutti minvidiano e le tipe mi volgiono

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