Il giorno di riposo

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Sono distrutta. Sono le sette. È l’ora in cui di solito esco a correre al termine della giornata lavorativa. Oggi però ogni singolo centimetro quadrato del mio corpo, mente per prima, respinge anche solo l’idea di farlo. È stata una giornata senza fine, consumata nella presentazione finale di un progetto al quale lavoro da due anni. Uno di quelli che spunti, nel corso della vita, dalla checklist infinita delle prove d’idoneità cui una professione ti obbliga.

Fuori è buio e il freddo di dicembre non risparmia nulla. Penso che non risparmierà neppure la mia corsa. Le scarpe da running mi chiamano dallo sgabellino ai piedi della stufa su cui le lascio intiepidirsi, nelle giornate invernali, prima di calzarle. I sensi di colpa mi si presentano in ogni gesto che indulge a perdere qualche minuto. Cerco vanamente ispirazione sfogliando una rivista sportiva; mi racconto ad ogni pagina la palla che non si tratti solamente di un pretesto qualunque per perdere tempo e rimandare l’uscita.

Non c’è neppure Guido stasera, il mio consueto compagno di allenamenti. Oggi aveva un’importante riunione in ufficio e mi ha avvisato stamattina che non avrebbe fatto in tempo a correre con me.

Faccio per prendere un biscotto dalla scatola di latta che tengo sulla libreria. Quei biscotti sono il premio giornaliero per accompagnare il caffè di metà mattina. Allungo la mano e poi mi fermo: devo correre, meglio essere a stomaco vuoto. Le coccole alimentari non sono contemplate nell’agenda di una runner che si sta preparando ad uscire a correre.

Preparando? Ci penso un attimo. Mi guardo riflessa nel vetro della finestra. Ho ancora ai piedi i tacchi e il pc è aperto e acceso sulla scrivania. Nessun indizio che faccia pensare ad un allenamento imminente.

Inizio a pianificare le strategie degli allenamenti alternativi. Potrei tornare a casa, montare la bici sui rulli e fare una pedalata al caldo. No, è inutile che te la racconti; se torni a casa l’unica superficie sulla quale appoggerai le chiappe sarà il divano.

Oggi è lunedì; giusto, alle 20.30 in piscina c’è l’allenamento dei master del nuoto. La compagnia non potrebbe che farmi bene. Due risate, qualche battuta, qualche frustrazione da condividere e due ore di allenamento passano che neppure te ne accorgi ….. due ore di allenamento??? Ma zero, non se ne parla oggi. Troppa fatica.

Si, ecco, trovato. Mi resta la palestra. Stasera mi sembra sia programmata una lezione di pilates alle sette e mezza. Potrei fare in tempo. No aspetta. Cerchiamo di essere seri. ‘Pilates’ io? ‘Pilates’a me non lo dite! Quelle attività indoor, tutte al femminile, dove un istruttore ti dice che devi piegare la schiena di più per allungare tutte le catene muscolari, mentre nella sala accanto sparano la musica della Zumba a manetta, non è quello che io solitamente uso definire un’ora di sana attività sportiva. Non fa per me.

Ok, ma allora qual è la soluzione? Mi sorprendo un po’ in ansia.

Mi siedo e mi domando se almeno oggi posso essere indulgente nei confronti di me stessa e perdonarmi un po’ di sano riposo. Come se dare tregua al corpo, che reclama quiete in ogni modo, sia poi una colpa e non invece un merito.

Noi sportivi di endurance facciamo fatica a perdonarci una trasgressione dalla tabella di allenamento. Chissà perché? Dovremmo fermarci e pensare a questa cosa. Lo sport che amiamo, che ci fa stare bene con noi stessi e con gli altri, che ci regala emozioni, merita sicuramente un ruolo più degno di quello dell’aguzzino.

Vale la pena fare pace con noi stessi a volte; lo sport non è una guerra tra il nostro corpo e la nostra mente, che giocano a braccio di ferro per vedere chi cede per primo. È vero, lo sport è anche educazione e disciplina, ma non deve diventare uno sterile gioco al massacro.

Il segreto per vivere a pieno la nostra passione, sta forse nell’imparare l’integrazione tra corpo e mente; nel capire quello che tante culture orientali insegnano da secoli. La licenza di chiedere al nostro corpo di piegarsi alle nostre richieste, passa anche dal rispetto delle sue esigenze.

Questa sera le mie gambe mi stanno chiedendo una tregua e io non posso far finta di non sentire.

Quindi spengo il pc, mi levo i tacchi, mi alzo dalla sedia …. accendo la musica e mi lascio cadere sulla poltrona della sala riunioni. Chiudo gli occhi, lascio correre i pensieri e tra dieci minuti, quando il respiro si sarà fatto più regolare e calmo, tornerò a casa a preparare la cena. L’allenamento è piacevolmente rimandato a domani.

2 thoughts on “Il giorno di riposo

  1. Decisamente bello e scritto in modo fantastico.
    La mia ” paura” e’ che se tradisco una volta la tabella di THE KING , tradisco la sua fiducia e sopratutto tradisco il programma che ci siamo fatti per raggiungere l obbiettivo.
    Ma è assolutamente vero che è importante allo stesso modo sapere interpretare i segnali che ci da il nostro corpo….. Insomma un vero casino tra volere, volare, potere……

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