Sport e tecnologia: perchè non posso vivere senza il mio GPS

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Tutto quello che non c’è non si rompe. Con questa frase Henry Ford si riferiva alla semplicità con cui era fabbricata la Ford T. Con questa frase si può aprire oggi forse, anche un dibattito sull’opportunità o meno del ritorno all’essenziale anche nella pratica di uno sport. Se è vero che l’uomo è sempre stato mosso nella propria evoluzione, dal soddisfacimento di uno stato di necessità, viene forse da chiedersi se tutta questa proposta tecnologica e tecnica di prodotti avanguardistici sia veramente dettata da uno stato di bisogno o piuttosto da altro.

Io ricordo la regolazione del vecchio cambio della bici da corsa, che negli anni ’80 mio padre faceva periodicamente prima e durante la stagione del pedale. Stava a lungo a regolare i comandi del cambio, ancora posizionati sul tubo diagonale e con la levetta che lavora in continuo, ancora persino senza scatti. Bastava un po’ di pazienza, la maestria derivante dall’esperienza, la giusta tensione, un po’ di olio sulla catena e ogni uscita in bici era una garanzia.

Io oggi ho una bicicletta che monta il cambio elettronico. La regolazione è affidata ad un pulsantino che fa tutto in automatico e che prescinde dalla mia perfetta ignoranza in materia. I rapporti cambiano lisci come l’olio, ad un solo tocco leggero delle leve a manubrio. Basta ricordarsi di caricare periodicamente la batteria in dotazione, basta non dimenticarsi a casa i cavi se si è in trasferta, basta fare bene i conti sulla sua autonomia, basta ingraziarsi la buona sorte e tutto andrà per il meglio. E si, perché se invece una sola di queste cosette dovesse andare storta, non ci sarà santo che tenga e la mia uscita sarà irrimediabilmente compromessa. Quando il cambio elettronico per un qualsiasi motivo si ferma, game over!

Le sirene della modernità mi hanno ammaliato anche nel running. Quando esco a correre oggi ho al polso un vero e proprio computer. Le funzioni del suo software sono infinite e credo forse di non conoscerle neppure tutte. Una volta monitoravo i miei allenamenti correndo su percorsi misurati chilometro per chilometro. Il cronometro mi diceva a quale velocità stavo facendo frullare le gambe e il fiato affannoso mi indicava la soglia di fatica. Oggi non ho più bisogno di percorsi misurati perché il GPS traccia le mie corse ovunque e mi indica ogni distanza. Oggi il mio respiro quasi non lo ascolto più, perché ho stretta attorno al torace una fascia che rileva, grazie a dei sensori, il mio battito cardiaco e ne desume il range di sforzo. Il problema si pone quando il GPS non intercetta il satellite o quando, magari nei boschi, mi dice che percorro un chilometro in 2’10”. La difficoltà non sta nell’inconveniente che capita e che non rende affidabile il mio computer da polso, ma nel fatto che la desuetudine di anni al ‘fai da te’ e l’abitudine al supporto tecnologico, mi manda praticamente in affanno quando la tecnologia mi abbandona.

Questi sono solo due semplici esempi, ma è evidente come l’uso nello sport dell’elettronica, dei software, della tecnologia avanzata, delle strumentazioni sempre più complesse e così via, abbia decisamente intensificato il processo di impoverimento individuale quanto a competenze tecniche e al contempo calato un diaframma tra l’utilizzatore e il mezzo di cui si serve.

Mi rendo conto anche che questo discorso possa essere valido in molti ambiti della vita di oggi. Se vuoi una copia del telecomando della tua auto, devi rivolgerti all’azienda costruttrice; se non funziona tu resti a piedi. Il cancello automatico di casa è una gran comodità quando piove, ma ti tocca pregare che non succeda mai nulla, altrimenti finirai con il dormire in macchina o peggio ancora con il sentirlo sbattere per ore se impazzisce e innesca un infinito apri-chiudi.

Vicino al comodino del letto ho un’intera scatola di alimentatori, ciascuno con un’etichetta applicata (sono tutti uguali, altrimenti li confonderei) e ciascuno con un proprio adattatore che lo renda compatibile con i diversi attacchi a parete. Ogni sera ho una check list di mansioni cui non posso derogare se voglio godermi la mia quotidiana ora di sano sport rilassante.

Così ricarico il cellulare, ricarico il GPS da polso, ricarico la batteria del cambio elettronico della bici, scarico i dati dell’orologio sul pc, scarico i dati del computer da bici e scarico sul pc gli ultimi tracciati, lavo la fascia cardio usata oggi, ricarico la batteria dell’mp3 per ascoltare la musica domani in allenamento e guardo un po’ cosa mi dice on line il virtual trainer a proposito del lavoro svolto oggi. Lui finirà di sicuro con il valutare più diligente e performante di me il mio virtual partner d’allenamento, che mi sfida ogni volta sui dispositivi GPS per il mio sport. La fa facile lui!

Le riflessioni le lascio agli altri. Io mi guardo fare tutte queste cose, sorrido di me e del tempo che dedico, ma in fondo mi diverto e mi compiaccio. Poi la volta che me la voglio godere in modo diverso, esco a correre a polsi nudi e vado a recuperare in garage la vecchia bici di papà, con il Campagnolo a leve sul tubo diagonale.

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