Dibattito sulle scarpe da corsa

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Davvero poco sembra essere più interessante per i Runners, della scelta delle scarpe più adatte.

Che siano stabili, minimali, anti pronazione, “natural”, zero-drop o extra protettive, appaiono evidenti pregi e difetti di ogni tipo di scarpa sul mercato.

Le scarpe possono davvero essere la causa di infortuni e lesioni, o possono invece proteggerci come ci raccontano i  produttori?

Non sarebbe opportuno  curare invece meglio la nostra tecnica di corsa e di allenamento,  prima di attribuire alle scarpe le colpe delle nostre sofferenze e dei vari dolori che ci affliggono?

Per i non esperti (ossia per la maggior parte di noi) l’acquisto di un nuovo (o anche peggio,del primo) paio di scarpe da allenamento, può essere un processo difficile e laborioso . Le ricerche sul web rivelano non solo una gamma quasi illimitata di marche e caratteristiche tecniche delle calzature da running, ma andando oltre, ci si imbatterà nella diatriba intercorrente tra i fautori del natural running e i detrattori delle calzature minimali,molto in voga ultimamente … quindi come si fa a decidere cosa è meglio?

 

Lo sviluppo della ricerca industriale sulle scarpe da corsa, ha subìto il proprio boom negli anni ’70 ( 25 milioni di americani hanno iniziato a praticare jogging alla fine degli anni settanta), con il lancio di “Nike”, delle prime scarpe da corsa ASICS e delle proposte di Adidas.

Per avere un’idea della storia provate a dare un occhio qui o anche a questa infografica.

Fino a quel momento gli atleti avevano optato per scarpe dalla fattura molto basica, prive di imbottiture protettive o di particolari supporti plantari; insomma prodotti lontani anni luce da quelli ai quali oggi noi tutti siamo abituati. (E naturalmente, come sostengono i minimalisti, per centinaia di anni si era persino corso senza indossare le scarpe!). Ad ogni modo, negli anni ’70 molti di quei giovani atleti che erano cresciuti senza scarpe tecniche, iniziarono a correre negli Stati Uniti e in Europa. Iniziarono a c alcare le strade del running persone dalle più diverse condizioni fisiche, di diversa età e livello di allenamento. E così come crebbe esponenzialmente il numero delle persone che iniziarono a correre, di pari passo crebbero il numero degli infortuni.

La soluzione fu presto cercata e trovata, dalle aziende produttrici di calzature da running; si svilupparono ricerche che portarono a rpodurre, in sinergia con podologi ed ortopedici, una gamma molto ampia ed eterogenea di scarpe da running, in grado di supportare le esigenze di appoggio più diverse – pronazione , supinazione , problemi causati dalla biomeccanica ecc.

È cosa d’oggi una sorta di piccola “rivoluzione” contro le calzature estremamente protettive. Questo processo è stato forse accelerato quando nel 2009, il giornalista americano Chris McDougall ha pubblicato il suo libro “Born to Run”. McDougall  fu illuminato dall’esperienza della tribù indiana Tarahumara e dalla capacità di quegli uomini di correre, senza incappare in infortuni, distanze lunghissime indossando solo sottili sandali chiamati huaraches. Egli dedusse che la maggior parte dei problemi ortopedici nei quali incorrono i nostri runners, potesse essere attribuita alle calzature che siamo abituati ad indossare.
E improvvisamente ci siamo tutti illuminati! Ecco la soluzione.

Così le aziende hanno iniziato a lanciarsi nella produzione di scarpe minimali, giusto per venire incontro a chi di noi non avesse proprio tutto il coraggio sufficiente per lanciarsi in una corsa a piedi scalzi. Per molti podisti questa è stata la soluzione; per molti altri ancora, non lo è stata.

Mentre alcuni sostengono che le scarpe protettive impediscano al corpo di reagire agli stimoli propriocettivi e che con molta prudenza si possa rieducare il corpo ad una corsa naturale (quindi con calzature ridotte all’osso), altri ritengono che questo approccio minimalista sia tutt’altro che vantaggioso.

Si pone quindi il problema della scelta di quale genere di scarpe possa essere il più adatto alle nostre peculiari esigenze individuali, soprattutto se, prima di passare in negozio per l’acquisto, ci manca il tempo per una laurea in ortopedia.

La soluzione è quella di seguire il comfort e di andare un po’ per tentativi, a meno che si abbia a disposizione, come Mo Farah, un team di esperti professionisti dedicati allo studio della nostra corsa e pronti ad investire un paio di milioni di dollari per crearci un prodotto ad hoc.

Personalmente per anni ho finito con il ripiegare su scarpe molto protettive e pesanti, spesso suggerite dal responsabile di negozio di turno, che impallidiva nel vedermi correre sul tapis roulant del negozio in occasione delle prove di appoggio dinamico. Tuttavia, un giorno, dopo l’ennesimo infortunio, ho voluto raccogliere il suggerimento di alcuni amici che mi hanno portato all’acquisto di un paio di scarpe più leggere. Quello per me è stato il primo approccio alle mie amate Adidas Bostons – e da lì non mi sono mai voltata indietro e il numero degli infortuni nei quali sono incappata è notevolmente diminuito. È pur vero, che da allora, oltre ad aver cambiato le scarpe, ho iniziato a seguire consigli mirati per migliorare la mia tecnica di corsa e la mia metodologia di allenamento, oltre ad aver raggiunto un miglior valore nel BMI.

Resta quindi il dubbio amletico: saranno state le scarpe più leggere o l’evoluzione del mio essere runner a tenermi lontana dagli infortuni?

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