Paula Radcliffe. Il primo ricordo che ho di lei è tanto lontano nel tempo quanto nitido nella testa. È l’estate del 1996. Quella delle Olimpiadi di Atlanta. Ho diciassette anni e sono incollata alla tv a seguire tutte le gare che la Rai trasmette.
Faccio atletica da esattamente dieci anni e in quei giorni non seguo i Giochi Olimpici per lei. In Georgia c’è una di noi, o meglio, una di un altro livello, ma con la quale mi alleno ogni giorno. È per lei che non mi schiodo dallo schermo; di Paula so ancora poco.
Virna De Angeli è in quel tempo una tra le stelle più fulgide nel firmamento dell’atletica italiana. È lì perché l’atletica vera è lì che si gioca e lei ha nelle gambe il record italiano sui 400 metri piani. Quel record arriva, come spesso capita, solo in batteria.
Le Olimpiadi sono un loop che ti prende e dal quale non esci. Le gare le segui tutte, dal giavellotto al decathlon. Se poi sono gli anni in cui mastichi il mezzofondo, dai 1500 ai 10.000 per te è come la messa della domenica. Si fa silenzio e si prega.
Mi rivedo lì, a seguire la telecamera che riprende le atlete schierate per la partenza sui 5000. C’è tensione. Sonia O’Sullivan è la grande favorita, ha vinto facile la batteria. In quegli anni lei è il mio idolo. A sorpresa Gabriela Szabo è finita fuori nelle qualificazioni; bene, nessuno rischia di doversela vedere con quel suo diamine di rush finale, che negli ultimi 200 metri può cambiarti la storia. C’è anche l’Italia. E non una qualunque. Quella di Roberta Brunet e della sua fascetta a treccia azzurra e bianca sulla fronte.
Pistola. Sparo. Sbam!
La O’Sullivan è davanti a tutte per tre chilometri e sta lì a fare di quei 5000 il suo giochino. Quel giocattolo però si rompe senza preavviso. Dolori intestinali. L’irlandese scavalca il cordolo e se ne va. La gara continua con la Junxia in testa e la Konga in scia. L’oro è cinese e l’argento del Kenya. Il bronzo è nostro con la Brunet che scrive la storia dello sport italiano. Strepitosa.
Non è lei però che mi si inchioda nella testa. Paula Radcliffe quel giorno ha poco più di vent’anni e ciondola bionda, magra e altissima là dietro, con un quinto posto olimpico che fa parlare di lei.
Quattro anni prima è stata oro ai Mondiali Juniores di Cross a Boston. Due anni dopo corro gli Europei di cross a Ferrara tra le Under 23 e lei, sbam, vince su quei prati l’oro continentale assoluto sotto i miei occhi; stavolta in presa diretta.
Sono sempre più affascinata. Non c’è ritorno. Da lì in poi la seguo ovunque. So tutto delle gare che corre.
Per me Paula Redcliffe è sempre rimasta quella lì. Quella dei 5000 e dei 10.000 nelle gare sincopate del Grand Prix IAAF e dei cross. Quella che ha vinto due volte i mondiali sui prati, nonostante un colore di pelle che da sempre fa a cazzotti con i podi africani nel fango. Quella perfetta nel gesto dalla vita in giù, ma con le spalle e la testa che se vanno per i fatti loro, apparentemente scomposte, a seguire i sogni.
Lei ha vinto ovunque. È diventata regina di maratona 12 anni fa’, a Londra, con un 2.15’25” esagerato. La seconda miglior prestazione mondiale femminile all time sta lontana, parecchio; è quasi tre minuti dietro. E chissà per quanti anni resterà un limite inarrivabile. Londra lei l’ha vinta tre volte, così come altre tre volte ha vinto i 42K di NY, proprio come altre tre ancora è stata oro ai Mondiali di mezza e una sul tetto di maratona.
Lei è stata il simbolo delle donne che corrono. È stata madre due volte e l’ha fatto raccontando le sue gravidanze ‘in corsa’ e dicendo alle donne che lo sport si può fare anche in quei nove mesi. È stata il volto di Nike e di tante campagne sulla sicurezza al femminile.
Oggi, a 12 anni da quello strepitoso crono londinese, Paula ha scelto di dire addio ufficialmente alla distanza, proprio sulle stesse strade che l’hanno incoronata. Domenica sarà in gara nella sua Londra, per la London Marathon 2015. Ancora una volta, l’ultima, per correre 42 km e 195 metri.
È un altro capitolo che si chiude. È tempo per dare spazio ad altre regine. Per dare la caccia ad altri sogni. Lei oggi è madre di due figli e cede il passo.
Domenica sulle strade della London Marathon lo scettro nella gara della Capitale del Regno Unito andrà a finire tra le mani di una delle quattro grandi attese stelle del Kenya.
La corona però, quella no; quella resterà comunque in testa alla Regina. E riusciremo sicuramente a vederla ciondolare luccicante anche là in mezzo, nascosta tra la folla.