Ius soli, e altre italianità…

Bruno Conti Sandro Pertini ius soli

Sei davanti al monitor, sul sito dell’iscrizione alla gara. Compili automaticamente tutti i campi come hai fatto mille volte. Nome, cognome, data di nascita, nazionalità, contatto di emergenza. Scorri giù e poi arrivi a quella casella dove ogni volta resti bloccato.

La casella del “country represented”, dove devi scegliere quale nazione rappresenterai. Quella stampata sul pettorale, quella che vale per la classifica per nazione.

Per tanti una scelta univoca. Per chi invece è nato e cresciuto in Italia ma da 15 anni risiede all’estero, ogni volta è una scelta difficile.

Ti sfiora l’idea di gareggiare per il Lussemburgo. D’altronde è qui che ti alleni, è qui che ti fanno le visite mediche, paghi le tasse, i contributi, hai assistenza sanitaria, etc. etc. Molti expat lo fanno, perché non dovresti farlo pure tu? I colori non sono neanche male dai e poi…

E poi un cazz…

Pensi a quando eri bambino, ai mondiali del 1982, al tuo eroe Bruno Conti. A Sandro Pertini che sul 3 a 1 urla “ormai non ci prendono più”.

Al tuo esser italiano dentro, in tutto e per tutto. A quella bandiera tricolore che i tuoi amici ti hanno firmato quando sei partito e che conservi gelosamente nel cassetto insieme ai ricordi più cari. Quel tricolore che tiri fuori ogni volta che gioca la Nazionale, quella di calcio, pallavolo, rugby, e preghi perché la parabola non ti tradisca.

L’orgoglio ti sale dalla schiena, su quella casella scrivi ITALIA, e se fosse possibile lo scriveresti in maiuscolo grassetto.

Oggi tutti a spaccarsi la testa sullo ius soli, come se la nazionalità si acquisisse automaticamente a seguito di una qualche legge e si risolvesse dopo il solito dibattito sui social che sfocia in uno sterile tifo da stadio.

In pochi capiscono che la nazionalità è una questione culturale. Non dipende da dove sei nato, da dove stai lavorando e sei residente. Un italiano vero è quello che prima di scrivere un post sulla bacheca controlla l’ortografia, perché rispetta la propria lingua come rispetta sua madre. Un italiano vero è quello che non si fa infinocchiare dal primo saltimbanco, perché furono Totò e Peppino a vender la fontana di Trevi al turista americano, non viceversa.

Un italiano vero è quello che è nato in Belgio da genitori italiani, è cresciuto a Roma e da 12 anni vive tra Lussemburgo e Danimarca. Ma quando un tassista di New York gli chiede “Where are you from?” lui risponde secco “Italy! Do you know Francesco Totti?”

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